A metà settembre, durante l’Assemblea generale delle Nazioni unite, si sono svolte a New York tre riunioni di alto livello dedicate alla salute. Si tratta del vertice sulla prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie, per discutere degli insegnamenti derivanti dalle conseguenze della pandemia Covid-19 e di quelli sulla copertura sanitaria universale (Uhc) e sulla tubercolosi.
L’obiettivo comune a questi incontri è stato quello di definire la direzione giusta per affrontare le criticità sanitarie più acute entro il 2030. Riportiamo di seguito alcune riflessioni della società civile internazionale sugli esiti di tali riunioni.
Le Dichiarazioni politiche approvate avrebbero dovuto essere, secondo l’auspicio della società civile internazionale, il più possibile concrete e quindi, riaffermare le decisioni assunte nei vertici precedenti, definire nuovi approcci strategici, indicare piani di attuazione e garantire il finanziamento delle azioni necessarie per colmare i gap. I risultati dei tre vertici, tuttavia, sono stati ritenuti perlopiù lontani da queste aspettative, in quanto la ricerca di un compromesso tra i Paesi ha portato all’adozione di dichiarazioni deboli.
Nella Dichiarazione sull’Uhc non si fa menzione dei gruppi target particolarmente rilevanti per la prevenzione dell’Hiv, come gli uomini che fanno sesso con gli uomini, le altre comunità LGBTIQ+, le persone che si iniettano droghe, le lavoratrici e i lavoratori del sesso. Non considerare il diritto di accesso alle cure di questi gruppi è in antitesi con l’impegno a raggiungere la copertura sanitaria per tutte e tutti. Mancano inoltre nella Dichiarazione impegni vincolanti sulle risorse finanziarie necessarie a colmare i gap e questo comporta che non sarà possibile effettuare una valutazione della sua attuazione.
La società civile internazionale impegnata nella lotta contro la tubercolosi rivendica il lavoro svolto con costanza e determinazione per ottenere una Dichiarazione sulla Tbc assai migliore rispetto alla prima versione e che può essere considerata un piccolo passo in avanti verso il rafforzamento della lotta contro la Tbc dal punto di vista dell’attenzione ai bisogni e ai diritti umani delle persone che sono colpite dalla malattia. Il documento contiene l’impegno a fornire trattamenti salvavita a 45 milioni di persone tra il 2023 e il 2027 e obiettivi specifici, misurabili e temporali per individuare, diagnosticare e curare le persone affette da Tbc con i più recenti strumenti raccomandati dall’Oms, nonché obiettivi specifici e temporali per il finanziamento della risposta alla tubercolosi e della R&S. Una vittoria particolarmente importante per la comunità Tbc è l’impegno a rafforzare le tutele finanziarie e sociali delle persone colpite dalla Tbc e delle loro famiglie: i Paesi firmatari si impegnano a garantire che entro il 2027 “il 100% delle persone affette da tubercolosi abbia accesso a un pacchetto di prestazioni sanitarie e sociali, in modo da non dover sopportare difficoltà economiche a causa della malattia”. Il documento avrebbe potuto essere però molto più incisivo, nessuna delle richieste della società civile riguardo ad azioni di contrasto della Tbc a livello paese, inclusive, attente alle differenze di genere, basate sui diritti e incentrate sulle persone sono state accolte. Non ci sono neanche impegni specifici relativi a piani d’azione a sostegno di comunità, diritti e genere (community, rights and gender – CRG), piani di riduzione dello stigma o per il rafforzamento delle reti nazionali di persone colpite dalla Tbc. Delusione è stata manifestata anche per la mancanza di impegni espliciti per garantire che i finanziamenti pubblici per R&S siano vincolati a condizioni di accesso. Questo, in particolare, in considerazione dell’esperienza del Covid-19, in cui farmaci, vaccini e terapie, finanziati prevalentemente con fondi pubblici, non sono stati equamente accessibili.
L’incontro ad alto livello delle Nazioni Unite per la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie (PPPR) ha permesso di ribadire l’importanza di un’azione collettiva per porre fine alle pandemie. È positivo che siano state superate le tensioni geopolitiche che minacciavano l’approvazione di qualsiasi dichiarazione, vi è tuttavia delusione perché il compromesso trovato – minimo comune denominatore di accordi, ha portato ad una Dichiarazione sulla PPR pandemica priva di chiara determinazione. La Riunione è stata un’occasione mancata per i leader di assumere impegni ambiziosi per prevenire la prossima pandemia e sancire responsabilità per il futuro. La partecipazione dei capi di Stato e di governo all’incontro è stata minima e la rappresentanza della società civile inaccettabilmente bassa.
(nota a cura di Stefania Burbo)