È possibile porre fine alle tre epidemie – Aids, Tbc e Malaria – solo con un incremento delle risorse finanziarie: questo chiede il rapporto Get Back on Track to End the Epidemics del Gfan – Global Fund Advocates network presentato alla conferenza. La società civile si mobilita in vista della sesta conferenza di finanziamento nel 2019 del Fondo Globale, il principale organismo multilaterale impegnato nella lotta contro le tre epidemie. I donatori saranno chiamati a dichiarare i propri impegni finanziari per il triennio 2020-2022.
Il Gfan stima che le risorse a disposizione del Fondo dovrebbero aumentare del 20% rispetto a quelle impegnate nel periodo 2017-2019, per un totale di 16.8-18 miliardi di dollari. Sulla base di un’analisi degli investimenti attuali per contrastare Aids, Tbc e malaria, il Gfan ritiene infatti che gli sforzi della comunità internazionale non siano al passo con quanto richiesto dai piani globali e ciò si tradurrà in maggiori infezioni e meno sostegno alle comunità più vulnerabili.
Ugualmente il monito che arriva dalla Kaiser Family Foundation e Unaids in un rapporto uscito pochi giorni fa e presentato alla Conferenza Internazionale sull’Aids. Otto paesi donatori su quattordici hanno ridotto il sostegno finanziario alla lotta contro l’Hiv. Complessivamente, tale sostegno è aumentato dal 2016 al 2017 dopo due anni di declino, tuttavia, l’incremento è ampiamente dovuto ad uno slittamento temporale del sostegno finanziario Usa e non è destinato a durare.
Secondo una ricerca della Harvard T.H. Chan School of Public Health, dei 48 miliardi spesi per contrastare l’Hiv in 188 paesi nel 2015, il 62% circa proveniva da risorse nazionali e il 30% circa dai fondi dell’aiuto allo sviluppo. Ma nei paesi con elevata prevalenza di Hiv, tuttavia, questi ultimi rappresentavano l’80% della spesa per Hiv.
Il focus su giovani fra i 15 e 24 anni nell’Africa sub-sahariana è quello invece presentato dall’Unicef, che ricorda che quasi 10 milioni di loro contrarranno il virus fra il 2017 e il 2050, di cui due terzi sono ragazze. Questi dati riflettono la rapida crescita della popolazione giovanile nell’area, che si stima aumenterà dell’85% entro il 2050 ed anche il lento declino dell’incidenza Hiv in questa fascia di età. Ridurre l’Hiv fra i giovani nell’Africa sub-sahariana richiederà un migliore accesso ai servizi di prevenzione Hiv e di salute sessuale e riproduttiva, nonchè la realizzazione di servizi per il test a misura di adolescente.
Dati positivi arrivano dallo studio Namphia realizzato in Namibia dove il 77% delle persone sieropositive ha una carica virale soppressa (livello di Hiv basso nel sangue). La soppressione virale indica che la terapia antiretrovirale funziona bene, le persone godono quindi di una migliore salute e si evita la trasmissione del virus.
Anche lo studio condotto in Kenya e in Uganda su gruppi comunitari evidenzia che servizi di test e cura Hiv in collegamento con cure per l’ipertensione e il diabete basate su linee guida nazionali possono portare ad una soppressione virale significativamente più elevata e a tassi di mortalità Hiv più bassi.
Amsterdam, 26 luglio 2018